Un po’ di storia

  (28 anni di Festival)

Pur mantenendo integri gli schemi compositivi che ne hanno tracciato (talvolta oleograficamente), gli ammiccanti percorsi musicali, tuttavia il Festival della Canzone Romana, si differenzia dal riduttivo evento popolare, traendo respiro dai continui fermenti melodici che caratterizzano la scena musicale nazionale. Non più infiltrata dall’eccessiva enfasi dello slang locale ma piuttosto dalle sue poetiche fattezze (quasi fosse una donna), Roma diviene testimone silente del soggetto al quale l’artista si rivolge.

Quando l’Italia si misurava ancora a piedi, la canzone popolare, in quanto concepita sotto l’inevitabile influenza del vernacolo, oltre che una missione evasiva, svolgeva soprattutto una funzione sociale. Dalla canzone del “Pellegrino” scritta intorno al trecento al contemporaneo della Ferri dei Vianella e di Califano, passando per “La cena della sposa” del cinquecento, la canzone romana ha subito l’evoluzione sociale della città, divenuta crocevia di diverse forme di comunicazione artistica.

Dall’ottava allo stornello, la comunicazione sonora di varie audizioni e Sagre (da S. Giovanni alla Festa de’ Noantri) ha, a sua volta, letteralmente stravolto la storica tradizione sconfinando nel caratteristico gorgheggio. Un formidabile strumento di coesione sociale. E nemmeno le sensibili arguzie del poeta Trilussa riuscirono a dare alla città di Roma la giusta dimensione musicale sulla scena nazionale. Saranno Romolo Balzani prima; vincitore di una audizione che si svolgeva nell’ambito della Festa di San Giovanni “Sagra delle lumache”, ed Ettore Petrolini dopo, a regalare la giusta ribalta alla canzone romana. Successivamente proprio i cantautori, in un periodo storicamente di “rottura”, a ridare l’ossigeno a una città storicamente ignorata, dopo avere vissuto prima il paradiso (Rossellini) e poi l’inferno (da Tomas Milian alla Saga dei Pierino con il cinema). Da “Roma capoccia” di Antonello Venditti e della Schola Chantorum a “Ninna nanna nanna ninna” di Claudio Baglioni, Luca  Barbarossa, Roma torna ad imporsi grazie al fascino esercitato nei confronti di artisti come Lucio Dalla, Matia Bazar, Renato Zero a molti altri. Ecco perché pensare al Festival della Canzone Romana come a qualcosa di decodificabile anche oltre ai confini laziali significa attingere alla scena nazionale.

Carrozzelle, fontane, tramonti e storie d’amore. La romanità è quella di un tempo. Intramontabile ed eterna, cristallizzata da melodie indimenticabili.

Da Fregoli a Petrolini, da Rascel a Garinei e Giovannini da Claudio Villa a Franco  Califano.

Anche quest’anno  si vuole premiare la tradizione invitando un nutrito parterre di artisti che hanno lasciato nelle proprie canzoni indimenticabili ed inequivocabili segni del loro talento ed orgoglio romano. Come è ormai noto, la manifestazione propone un concorso aperto a giovani compositori, autori ed interpreti.

Ogni anno un appuntamento fisso rende omaggio a tutto questo.

La continuità di questa manifestazione, portata avanti con dedizione e passione da Lino Fabrizi, è un significativo esempio di come sia necessario diffondere e proseguire un percorso storico attraverso un’antologia di brani, dedicati o ambientati a Roma, che spazia dal 1800 ai giorni nostri.

La manifestazione giunta alla sua 28^ edizione, si presenta quest’anno ancora più ricca di eventi e ospiti.